Vita da filosofi – Jean-Jacques Rousseau

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Immagine tratta da Wikipedia

C’era una volta uno spirito inquieto e un po’ vagabondo. Un personaggio dalle mille contraddizioni. Autore brillante e ammirato da un lato, uomo litigioso, diffidente e incline alla paranoia dall’altro. Si chiamava Jean-Jacques Rousseau ed era nato a Ginevra, nella Svizzera francese, all’inizio del XVIII secolo.

Suo padre era un orologiaio di religione calvinista. Non era ricco, ma amava i libri e la lettura. Sua madre, invece, morì poco dopo averlo dato alla luce: il primo di una lunga serie di distacchi e abbandoni.

Dopo un’infanzia priva di punti di riferimento costanti, a soli quindici anni, un evento casuale lo portò a cambiare radicalmente la sua vita. Rientrando di sera a Ginevra dopo una passeggiata, trovò le porte della città già chiuse. E così, di punto in bianco, se ne andò altrove.

Nel vicino ducato di Savoia, ricevette aiuto e protezione da una colta e intraprendente nobildonna svizzera. Madame de Warens (la cui vita tormentata e avventurosa meriterebbe un post a parte) lo spedì temporaneamente a Torino. Qui Jean-Jacques si convertì al cattolicesimo. Alcuni anni più tardi, tuttavia, si sarebbe riconvertito al calvinismo, per poi approdare, alla fine, al deismo.

Sempre a Torino, il giovanotto lavorò come domestico presso una famiglia nobile. E, in questa funzione, si rese colpevole di un’ingiustizia che lo tormentò per tutta la vita. Per lo meno, questo è ciò che scrive lui stesso nelle sue Confessioni, una sorta di versione ante litteram del cosiddetto flusso di coscienza novecentesco. Quale ingiustizia? A quanto pare, Jean-Jacques rubò un nastro ai suoi datori di lavoro e, una volta scoperto, accusò del furto la giovane e avvenente cuoca della famiglia. Di conseguenza, entrambi persero il lavoro: lui giustamente, e lei ingiustamente.

Successivamente, il giovanotto diventò segretario e, per alcuni anni, anche amante di Madame de Warens. E cominciò a nutrire un serio interesse per la filosofia. Così, come era abituale per un filosofo dell’epoca, si trasferì a Parigi, dove si fece notare per le idee e lo stile dei suoi scritti. Tanto da fare amicizia con gli intellettuali più famosi – Diderot, d’Alembert, il barone d’Holbach, Voltaire… – e da collaborare al monumentale progetto dell’Encyclopédie.

Nell’hotel parigino in cui alloggiava incontrò anche una giovane cameriera semi-illetterata e dalla famiglia ingombrante, Marie-Thérèse Levasseur, che diventò la sua compagna. Il loro legame apparentemente improbabile durò fino alla morte di Rousseau. Nonostante quest’ultimo non disdegnasse la compagnia di altre gentildonne. E nonostante la nascita di cinque figli e il loro sistematico abbandono in orfanotrofio: una scelta raccontata (e giustificata) nelle già citate Confessioni.

Nel giro di un decennio, Rousseau riuscì a raggiungere fama e successo. Ma guastò tutto con liti e conflitti continui, conditi da vittimismi e paranoie di ogni tipo. Una situazione che lo portò a isolarsi sempre di più, mentre gli amici diventavano avversari e le fonti di sostentamento economico venivano meno. Come se non bastasse, lo scandalo causato dall’Emilio e dal Contratto Sociale, giudicati pericolosi ed eterodossi dalle autorità parigine e ginevrine, lo costrinse ad abbandonare Parigi, senza poter fare ritorno a Ginevra.

Visse così gli ultimi anni della sua vita in un vagabondaggio continuo, accompagnato dalla fedele Marie-Thérèse e ospitato da discepoli ed estimatori. Non è dato sapere se trovò mai la pace, dopo una vita trascorsa a fare la guerra al mondo intero. Per il suo egualitarismo e antiassolutismo, fu considerato tra i padri della Rivoluzione francese, mentre i suoi tormenti e le sue inquietudini annunciavano già il Romanticismo.

Questo post è costruito su una serie di aneddoti e non ha alcuna pretesa di scientificità. È stato ispirato dalla lettura di Vite degli uomini illustri di Achille Campanile (1899-1977).